L’usufrutto consiste nel diritto di un soggetto (detto “usufruttuario”) di usare e godere di una cosa, di qualunque genere, che appartenga a un’altra persona (detta “dominus” o “nudo proprietario”), percependo tutte le utilità che la res medesima può offrire, compresi i suoi frutti, sia naturali che civili, a patto che non ne muti la destinazione economica. L’istituto in esame era conosciuto fin dall’epoca dei giuristi romani, i quali lo definivano, appunto, come lo “ius utendi et fruendi, salva rerum substantiam”. L’usufrutto è uno dei principali diritti reali di godimento, cui il codice ha dedicato il titolo quinto (intitolato “dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione”), all’interno del Libro Terzo “della proprietà” (artt. 978 e ss. c.c.).
Secondo autorevole dottrina la prevalente funzione della servitù è di tipo personalistico, a differenza di un altro fondamentale diritto reale limitato, la servitù, che, come approfondito nella sede opportuna, è caratterizzato da una speciale inerenza rispetto ai fondi interessati, e non già ai titolari dei terreni. La conseguenza più importante di tale connotazione personalistica è l’inscindibile legame tra la durata del diritto in questione e la vita dell’usufruttuario; l’usufrutto, infatti, non può eccedere in nessun caso la vita dell’usufruttuario, se si tratta di persona fisica, o i trent’anni, se si tratta di persona giuridica.
All’elemento distintivo della necessaria temporaneità, del resto, fa da contraltare, per così dire, una nota che pure differenzia l’usufrutto rispetto agli altri diritti reali di godimento, ma in senso opposto, ossia nel senso di ampliare notevolmente le facoltà riconosciute all’usufruttuario. A costui, infatti, non competono solo specifiche forme di utilizzazione del bene, bensì tutte le forme di utilizzazione che non sono escluse dal titolo. Proprio sulla base di tale osservazione, si usa definire l’istituto di cui trattasi il tipico diritto reale di godimento “a contenuto generale”, poiché è subordinato soltanto ai limiti della temporaneità e dell’obbligo di rispettare la destinazione economica del bene.
Studio Cataldi